
La provvisorietà è interessante fino a un cero punto. Se un intero stato, se una scuola, se un pronto soccorso si basassero sulla provvisorietà saremmo cittadini spacciati. Non lo siamo vero? Ci sono cose per cui inoltre la solidità è di gran lunga preferibile, specialmente se la precarietà non è una scelta.
Esistono popoli nomadi che adorano vivere in una iurta o in una roulotte. È una scelta culturale profondamente radicata. Ci sono situazioni, invece, in cui la precarietà non è una scelta, ma un obbligo. Allora le cose si complicano.
«Voglio andare a casa» (la casa dov’è?)
Se ti trovi coinvolto in un sisma di magnitudo 6.5 e la tua casa è perduta te ne vai in una Sae. La Sae è l’emblema del terremoto in Centro Italia, un simbolo non da tutti conosciuto. Allora famigliarizziamo meglio con il lessico e il panorama del sisma:
La Sae è una soluzione abitativa di emergenza. Viene costruita dalla Protezione Civile ed è garantita a chi ha perso la propria dimora. Per avere diritto alla Sae la casa in cui eri deve essere classificata come una E. Questo significa che hai una casa inagibile.
La tua casa è inagibile perché ha di fianco un campanile o un altro edificio che gli sta crollando addosso, è inagibile perché ha subito un danno strutturale che non può essere considerato lieve (diversamente la tua casa sarebbe classificata come una B). Quindi non tutti hanno diritto alla Sae, solo chi non sa più dove andare e ha deciso – altro dettaglio – di non delocalizzare in albergo, magari molto fuori dal paese terremotato. Se sei in affitto ti va meglio. Se abitavi in quella casa ed era la tua, avrai la Sae. Se la casa era la tua ma non ci abitavi, magari hai una seconda casa, la Sae non ce l’avrai.
Dove (voglio vivere)
Arriva il terremoto, le scosse ti distruggono casa. Il Comune ti dice «avrai una Sae, è solo per il momento. Tu stai li, intanto noi ti avviamo la pratica di ricostruzione, si rifà tutto e poi ritorni a casa tua, quella vera.»
Sulla carta funziona tutto, nella realtà aumentano le variabili indipendenti che hanno molto a che vedere con quella provvisorietà non scelta di cui ti parlavo all’inizio.
- Non te la fanno subito, la Sae. Ci vuole tempo:
- tempo perché sia identificata l’area corretta dove costruirla, entro un dialogo non sempre rapido fra Comune, Provincia e Protezione Civile,
- te la devono assegnare, significa che devi richiederla e intanto aspettare. A Norcia, mentre le costruivano, le assegnavano a sorteggio. È una cosa che manderebbe in pezzi l’anima di chiunque,
- intanto resti in una palestra con i letti comuni, se appunto non hai deciso di andare in albergo, o prenderti una roulotte a ruote – piovono multe se la prendi fissa – o di andare da parenti, amici e via dicendo,
- intanto hai subito il trauma del terremoto: se ti è andata bene hai perso solo casa e lavoro. Dovrai stare fermo minimo 5 mesi – 1 anno. Se ti è andata molto male hai perso casa, lavoro, almeno un parente, molti amici e sei stato – vicino o lontano – a cielo aperto da qualche parte, aspettando la Sae,
- dopo circa 8 mesi, se ti è andata di lusso, hai la tua Sae, vale a dire una casetta in poliuretano espanso fra i 40 mq o 60 mq a seconda del nucleo famigliare

Family affair
Le Sae sono costruite una attaccata all’altra. Non hai più il tuo vicino di casa, improvvisamente erediti la vicinanza di gente che non conosci e in un momento di forte stress non è detto che la cosa ti vada a genio, ma è così.
Sei fuori dall’architettura del tuo paese, sei in un accorpamento di Sae tutte uguali, piantato probabilmente nel nulla. Non temere, a breve faranno anche il container per la posta, quello per i Carabinieri, il fruttivendolo e la banca. Però no, non sarà più la stessa cosa: qui è derealizzante vivere. Non solo perché non hai più un riferimento che sia uno. Non vedi futuro, sei stato messo in sicurezza perdendo tutte le tue connotazioni personali, non sai cosa succederà. Ti hanno detto che ricostruiranno. Sulla carta è così.
Dovresti provvisoriamente sostare in una Sae per un anno, forse, poi si torna a casa. Anche perchè una Sae è garantita solo 4/5 anni, poi inizia a distruggersi (se non l’ha gia fatto prima).
2. Casa però intanto non te l’hanno fatta per 600 motivi – burocrazia, tecnici che non consegnano la tua pratica, poco personale negli uffici della Ricostruzione, incompatibilità fra Comune e Regione – e sono passati tre anni. Tu continui a non saperne niente di cosa diamine accadrà e invecchi in una Sae dove:
- non hai più privacy con i membri della tua famiglia, siete troppo attaccati
- dopo qualche anno ti balla il pavimento perché è fissato un po’ male. Lo smontano e scoprono che è pieno di muffa, da buttare
- è inverno e ti scoppia il boiler
- non puoi progettare il tuo futuro perché il Comune non ti spiega cosa vuole fare in merito alla ricostruzione
- Cosa vuoi? La tua dignità di cittadino? Ti danno tutto pagato, non ti basta? Ad alcuni sì,
«era una casa molto carina… non si poteva entrarci dentro perché non c’era il pavimento» un anacronistico Sergio Endrigo
«Qui a Castelluccio le Sae le hanno inaugurate a fine Agosto. Sono arrivati politici, il Sindaco, hanno fatto anche il taglio del nastro. Peccato che non avevano ancora finito di montare il pavimento all’interno.» A. che lavora a Castelluccio
Non va sempre così
Il casino del terremoto è che ognuno può raccontarti la sua storia. In alcuni comuni le Sae le hanno avute per tempo, alcuni sono già rientrati nelle case, le hanno avute anche quelli a cui non spettava una casa, perché il Sindaco le ha fatte fare un po’ per tutti. Non è questo il punto.
Il punto non è la variabile indipendente, il punto è la solidità dell’intero discorso.

3 anni, 13% degli edifici ricostruiti, macerie presenti in tutti i comuni come fosse ancora il 2016, fatto salvo quelli che hanno avuto pochissimi danni. Nessuna garanzia di una ripresa del tessuto socio-economico ma, soprattutto, nessun piano presente costruito, durante questi 3 anni, nessun progetto a lungo termine che sia stato ideato, appoggiato con un po’ di malta in un box 3 metri per 3. Nessun tetto a tutela dei diritti umani. Adesso anche tu, un po’ di più, questo «lo Sae».