FERMARE IL ROVESCIO DEI DIRITTI

L’invisibile cupola. Sotto di Lei c’è il terremoto (le urla, la rabbia, la sofferenza dei cittadini). Da fuori però non si vede nulla. Prima avrai da vedere l’invisibile cupola. Non è nata spontaneamente come fanno i funghi. E’ stata costruita in 3 anni. Ha molti responsabili. Oggi però mi concentro su un altra cosa, non sui responsabili (non è il mio) ma sul “tornare a parlare di sisma, come e perchè”

Oggi pubblicherò tre video sotto il titolo «Fermare il rovescio dei diritti». Sono tre video relativamente lunghi.  Ho pensato di fare qui una sintesi dei temi che affronto per due motivi:

  1. Renderti una snella comprensione delle cose principali che dico
  2. Darti un’idea d’insieme che aiuti a non perdere il filo.

Nonostante io qui ti sintetizzi i tre video ti invito profondamente a guardarli per un semplice motivo: nei video argomenterò tutto al meglio. Potrai in sostanza comprendere delle sfumature che qui non dirò.

Perché il terremoto non attira l’attenzione di nessuno?

Sono tre anni che i terremotati tentano di farsi sentire e non ci riescono. Quindi vuol dire che da qualche parte c’è qualcosa che non funziona. Fa male dirlo, indubbiamente. Fa male per chi sta lottando da tre anni, ma fa male  – anche – osservare da fuori che il silenzio sta vincendo.

È possibile correggere il tiro

I terremotati parlano del terremoto, della ricostruzione. Tutto questo viene però dopo. I terremotati non si vedono e non si sentono, quindi nemmeno il terremoto. Questo perché sono coperti da una cupola di invisibilità.

L’invisibile cupola

Nel primo video che vedrai oggi ho usato una metafora molto forte per spiegarti questa invisibilità. Esiste un libro di Stephen King  – poi diventato serie televisiva – intitolato The dome”, la cupola. Si racconta di una città rimasta isolata e invisibile a tutti proprio a causa di questa cupola gigante, invisibile al resto del mondo. Ti invito a cercare “The dome” di Stephen King, forse aumenterà il senso e la percezione della mia cupola, in copertina.

Hai presente quando si dice che un immagine spiega più di mille parole? Ecco. Allo stesso modo ho provato io stessa a simularti la cupola di invisibilità riproducendola  con strumenti semplici: una cartina e una terrina trasparente.

Quindi:

  1. Prima del terremoto viene l’invisibilità. È di questo che occorre parlare. L’invisibilità non è un danno del terremoto. Quando sarà visibile saranno visibili anche i suoi responsabili. Ora invece è tutto nel buio.
  2. È inutile che si tenti di parlare PRIMA di tutto ciò che sta sotto alla cupola. Prima bisogna parlare dell’invisibilità perpetuata da stampa, politica, sanità, economia. Hanno omesso per 3 anni tutti i temi del terremoto, a livello nazionale, creando una cupola di invisibilità.

Dividere, separare la «storia personale nel terremoto» dal «terremoto come tema della collettività»

Chi parla di terremoto solitamente dice queste tre cose:

  • la ricostruzione non parte (vero ma non genera azioni trasformative)
  • è una vergogna, uno schifo ( vero ma non genera azioni trasformative)
  • ho perso casa/ la mia casa è stata distrutta/ho perso la mia attività e altri dettagli personali ( vero ma non genera azioni trasformative)

Attenzione. Mi sto concentrando sui vizi di forma della comunicazione. Comprendo possa generare sofferenza. Mi muovo io stessa perché questa sofferenza abbia fine, perché come cittadina è inaccettabile. Quindi: mi concentro solo su come rendere visibile l’invisibile, nel massimo del rispetto di chi ha lottato in questi tre anni.

È importante, a mio umile avviso dividere:

  1. La parte più personale del terremoto (quello che è successo ad ogni persona)
  2. Da tutto il corpo di informazioni che invece hanno carattere di collettività.
  3. Quindi interessare i cittadini sulle aree di comune interesse in relazione al terremoto informando “in generale del terremoto” come fosse – perché lo è – un tema di interesse sociale, proprio come lo sono il tema della violenza contro le donne, la prevenzione ai tumori e via dicendo

Se invece di comunicare «è stata distrutta la mia casa», dico «guarda cittadino. Esiste un problema chiama terremoto, non si fa ancora prevenzione e non ci sono strumenti per tutelare i tuoi diritti e bisogni se lo prendi» la storia cambia. Il problema non è più quello della mia casa distrutta o della ricostruzione che non parte. Il problema è che esiste un tema che riguarda tutti e che non ha ancora risposte attive per la sua risoluzione.

Quindi è importante divulgare e riportare l’attenzione sulla parte collettiva del terremoto: diritti umani e tutela del cittadino, rischi e pericoli nel caso in cui un cittadino si trovi coinvolto da un terremoto, difficoltà causate dall’assenza di risposte progettuali al problema.

Chi ascolta un terremotato non riesce a capire –fatto salvo una grande empatia – perché il tema lo dovrebbe riguardare. Invece è importante che i cittadini capiscano che questo non è il terremoto DEL Centro Italia ma il terremoto dell’Italia intera.

Perché esattamente come tutti possono ammalarsi di tumore, tutti possono prendere un terremoto e incappare in tutte le spiacevoli conseguenze che l’assenza di prevenzione al tema sta ancora causando (speculazione edilizia, abusi, illeciti, violazioni dei diritti umani)

  1. SI PARLA DEL TEMA ESTENDENDOLO A TUTTI  (non è più “la mia casa è andata distrutta”, cosa che genera un limitato interesse e scalpore)
  2. SI FA COMPRENDERE CHE IL TERREMOTO È UNA TEMATICA SOCIALE, COLLETTIVA, DELL’INTERA ITALIA (questo aspetto non l’ha ancora visto nessuno)

Non si sta catturando l’interesse dell’altro. Poi: chi è l’altro, il mio interlocutore?

In un momento di grande buio, dove le persone si interessano poco – parlo in generale – alla res publica, ci si deve costantemente chiedere perché l’altro dovrebbe essere interessato a quello che dico.

  1. Se parlo della mia casa, l’altro è interessato fino a un certo punto, non è molto coinvolto
  2. Se si parla invece di diritti umani, economia e soldi pubblici spesi male, terremoto come “tema che riguarda tutti perché ci stiamo perdendo tutti”, allora è possibile che l’altro si faccia coinvolgere
  3. Se si urla “ho perso la casa” al Governo… ecco, forse non è il giusto referente. Non lo dico io. Lo dicono 3 anni di cupola invisibile. Mi sbaglio?
  4. Quindi bisogna cambiare interlocutore. L’altro è il cittadino al tuo fianco, non quello che è dentro al terremoto e sa già tutto, ma quello che sta fuori dal terremoto, ad esempio già anche a Perugia. Lui è un interlocutore possibile.

Portiamo il terremoto in televisione?

Va bene, benvenuti i programmi che fanno un effetto bomba con una super notizia, anche calmierata e ben documentata. Non è detto che questo attivi quella che chiamo «la macchina virtuosa» a servizio del terremoto.

L’azione della televisione è grande ma non è detto che attivi una rete di soluzioni. Il terremoto è un tema di immensa complessità , complessità che vanno incontrate dal basso, sgranando dettagli come un tempo si sgranavano fagioli. Ancora una volta temo forse, lo dico umilmente, vi sia un problema di misura. Ciò non esclude che la televisione sia utile, affatto, ma non è LA soluzione, LA macchina virtuosa che si attiva per connettere tutte le voci del terremoto (sanità, tutela dei diritti umani, ricostruzione, smaltimento delle macerie, organizzazione di tutte le istituzioni coinvolte fra loro).

Quindi una cosa è fare “denuncia del problema” (o informazione), un’altra è “avviare una concatenata serie di azioni che siano la soluzione operativa per il terremoto”. Serve anche – soprattutto – la seconda che, no, può fare la televisione, perché la relazione con il problema avviene entro una misura sbagliata se l’obbiettivo è attivare «la macchina virtuosa» che operi nella tutela delle persone durante un terremoto.

Fuori dal tecnicismo, fuori dal personalismo

Ad oggi chi parla del terremoto lo fa entro queste due modalità:

  • TECNICISMO: si spiegano dati tecnici della ricostruzione, dell’evento del terremoto. Il linguaggio è buono se si è fra addetti al settore. L’altro, il cittadino fuori dal sisma, quello che dovrebbe comprendere come questo sia un tema sociale e collettivo – dunque gli riguardi – non lo capisce. Avverte solo un mare di cavilli burocratici. La burocrazia annoia se vuoi diffondere e contagiare al tema facendo percepire il suo valore collettivo,
  • PERSONALISMO: ad esempio “ti racconto cos’ho perso io e lo faccio anche con un mare di rabbia perchè ho tutte le ragioni per farlo“. Non sortisce effetti, abbiamo visto prima i perché,
  • MI PREOCCUPO DELL’ALTRO, LO VEDO, LO INCLUDO NELLA COMUNICAZIONE DEL TERREMOTO. Il terremoto non è il mio tema, è il tema di tutti. Poi se voglio posso fare esempi su esempi , la mia storia, per entrare nei dettagli. Prima però mi chiedo:
  • COME POSSO SUSCITARE RECIPROCITÀ, INTERDIPENDENZA, INTERESSE DA AMBO LE PARTI?

Perché il terremoto dovrebbe interessare chi mi ascolta?

Attualmente non interessa. Nessuno è interessato ad ascoltare  – generalmente – i problemi degli altri, a meno che:

  1. NON SIA UNA VOCAZIONE O UNA SCELTA DI VITA PERSONALE
  2. IN QUALCHE MODO IL PROBLEMA LO RIGUARDI

Ecco perché, lo ribadisco, è DOVEROSO cambiare interlocutore: lo stato, i governi, la politica, a suo modo la stampa nazionale (non quella locale del terremoto) non sono un buon interlocutore. Lo dico con rispetto e solo tenendo presente la realtà dei fatti (tre sottili anni di invisibilità, “The dome“).

Quali aspetti del terremoto escono dall’esperienza personale e diventano tema collettivo?

È diverso dire «A Norcia hanno fatto un abuso edilizio» e dire «esiste il più grande cantiere d’Europa. È in Centro Italia ed entro questo cantiere si stanno sciupando i soldi pubblici a servizio del popolo italiano. Entro 4 regioni italiane sono evidenti gli illeciti, gli abusi, lo sperpero di denaro, la violazione della dignità del popolo italiano. Non sono evidenti a livello nazionale poiché il più grande cantiere d’Europa è stato tenuto sotto una grande cupola di invisibilità».

Poi ci diciamo anche di Norcia, Piedilama, entriamo nel dettaglio. Prima però diciamoci queste suddette priorità collettive. Comprendi?

La parola ricostruzione è parola morta: chi è fuori dal terremoto non la capisce davvero

Chi è fuori dal terremoto non sa del terremoto, figurati se comprende utilmente il senso di una frase che si legge spesso su quotidiani locali «la ricostruzione non parte». Di questa frase non se ne può capire né il senso né la misura.

Questa frase la capiscono i tecnici. Non i cittadini comuni che dovrebbero comprendere come il terremoto sia un tema sociale e della collettività.

Inoltre poi nessuno spiega mai che la ricostruzione è fatta di

1) demolizione

2) smistamento delle macerie

3) ricostruzione effettiva dell’immobile

4) della macchina burocratica dietro tutto ciò, macchina che non funziona in nessuna delle sue parti.

COSA PUÒ FUNZIONARE?

  1. Potrebbe funzionare parlare di Economia del male al cittadino fuori dal terremoto, spiegando che sono violati e sono stati violati anche i suoi diritti e le sue finanze,
  2. Se si vuole parlare dell’aspetto edile e della ricostruzione bisogna essere capaci di collettivizzare il tema, parlando cioè delle cose che interessano tutti,
  3. Elencare nel dettaglio le voci dell’economia del male, voci che riguardano tutti: diritti violati, assenza di progettualità nella ricostruzione ogni volta che arriva un terremoto, assenza di un piano nazionale in grado di tutelare tutte le voci che vengono attivate dal sisma, dal trauma personale a quello strutturale

È diverso se parlo del terremoto chiedendo ascolto al Governo o alle istituzioni che per tre anni hanno leggermente fatto comprendere di non ritenere prioritario il tema.

È diverso se:

  1. Mi propongo di portare il tema del terremoto fuori dalle aree del cratere
  2. Cerco l’ascolto dei cittadini non coinvolti spiegando il terremoto come tema sociale di urgenza nazionale
  3. Spiego loro che questo riguarda gli stessi in termini di: diritti, economia, salute, soldi pubblici

A chi comunicare il terremoto? Primo passo della macchina virtuosa

Saranno doverosi molti passi. Non possiamo vederli tutti subito, li conosceremo strada facendo.

Ad oggi è forse primario rivolgersi ad associazioni e aziende esterne al cratere e che siano interessate a: diritti umani, economia sociale (l’economia è già di per sé una voce sociale ma è bene ribadirlo perché nei “secoli dei secoli amen” ha purtroppo perso questa connotazione).

Quindi il primo passo, fatto in maniera massiva e importante, può essere quello di trovare punti aiuto e associativi (esterni al terremoto) a cui far comprendere che:

  • Il terremoto esiste
  • è un tema collettivo
  • sta impoverendo tutti

Hai presente quei volantini che trovi negli Ospedali e ti informano in generale su una malattia?

È tempo di creare un opuscolo nazionale rapido ed efficace che informi sul terremoto:

  1. cos’è a livello geofisico e perché può riguardare tutti (l’Italia è un paese sismico da capo a piedi),
  2. cosa succede alle persone (dal trauma alla ricostruzione di case e tessuto sociale),
  3. evidenziare le lacune senza rabbia (esattamente  come si dice «esiste la violenza contro le donne, se non denunciano non le si può aiutare» è possibile dire «esiste un fenomeno geofisico che mette tutti a rischio, se non si costruisce una macchina virtuosa a livello nazionale non possiamo essere tutelati come cittadini»)

Uscire dalle terre dell’impotenza

I terremotati sono sfiniti. È importante più che mai dosare le energie. È possibile uscire dal senso di impotenza? Piano piano, a mio avviso sì. È possibile spingendosi – anche solo virtualmente – fuori dalle terre del sisma, cercando – come detto sopra –aziende e associazioni esterne interessate al tema.

IL PUNTO PIÚ IMPORTANTE

  • Personalmente ritengo urgente e doverosa la creazione di una carta di tutela in termini di diritti nel terremoto.
  • Perché l’Italia molto spesso sostiene paesi in grande difficoltà sociale? Perché l’assenza di diritti impoverisce tutti.
  • Non essere tutelati è un male che uccide ognuno di noi, silenziosamente.
  • Il patrimonio umano è il bene che maggiormente dovremmo preoccuparci di tutelare, oltre gli interessi personali (possiamo nutrirli a casa nostra).
  • Non essere tutelati è la disgrazia di questo secolo.
  • Là dove le persone non sono tutelate null’altro può avere senso (inteso come direzione).

Il mio augurio è quello che si contempli una «Carta dei diritti umani nel Terremoto».

Nel 1948, dopo due conflitti mondiali, è stata stilata la Carta dei diritti umani. È vero, si tratta di un documento che non ha mai acquisito un valore giuridico (forse sarebbe opportuno valutare di restituirglielo, questo valore) ma tutt’ora viene fortemente tenuta in considerazione, citata anche nelle aulee di tribunale.

Questa carta ha tracciato una linea di confine irreversibile. Oggi, se violi un diritto umani, tu lo sai e lo vedi. Prima del 1948, no.

Stilare con pazienza una carta dei diritti umani nel Terremoto significa tracciare un’altra linea di confine irreversibile. Poi nessuno potrà più permettersi di apporre una cupola di invisibilità a qualsiasi altro terremoto. Allora questa volta la triste storia dei cittadini non verrebbe oltremodo vanificata. I morti, questa volta, potrebbero forse ritrovare un po’ di dignità e pace. I cittadini, forse, potrebbero ritrovare un senso di appartenenza alla res publica. Perché se non esiste una buona economia, ciò che si viene a creare è la divisione del tessuto del paese (divisione umana, divisione di interessi economici, divisione e basta).

Insieme è la parola d’ordine: non è facile ma è possibile.

È possibile infine far convogliare i comitati del Centro Italia al fine di realizzare la stesura, scrittura e la messa in essere di una «Carta dei diritti umani nel Terremoto»?

«140 comitati sono tanti, non andranno mai tutti d’accordo» ( ne basterebbero anche la metà, a parte il fatto che –purtroppo – molti paesi nemmeno hanno un comitato che li rappresenti)

«Ma come fai? Ognuno direbbe la propria sul proprio» (no, ci si focalizza sui diritti violati entro ogni voce  – economia, edilizia, salute- arrivando a fissare la radice di ciò che deve essere reso inviolabile)

«Ma è una cosa complessa» (bene, allora teniamoci il problema. Giusto? Oppure magari ci incamminiamo per la strada della risoluzione, con calma, ma non in altri tre anni?)

«Ma dove si possono riunire?» (iniziamo a dare misura ad ogni passaggio: come raccogliere le adesioni dei comitati, come creare delle assemblee, con un calendario alla mano, come moderare la discussione, come scrivere e tradurre le riflessioni in parole efficaci. Si chiama organizzazione. Magari ci vuole tempo ma sembra che nelle grandi aziende funzioni.)

Non ho usato un grammo di cemento

E nemmeno un grammo di odio. Non sono gli ingredienti di Sisma. Questo articolo vuole mostrarti 3 cose: intelleggere la realtà è agire. Le parole possono essere anche più forti del cemento, se sorrette dalle giuste emozioni specialmente in questi delicati ambiti (l’odio e lo schifo non servono, o quantomeno non bastano).

Il “come” giusto, la cosa giusta, la giusta persona, il giusto politico, l’uomo o la donna che fanno il miracolo: non esistono. Esiste però la forza della collettività, dell’interdipendenza. Per mettere in moto una «macchina virtuosa» – che ancora manca nel terremoto – servono calma, pazienza, organizzazione, interdipendenza, collettività. Servono valori e diritti, pietre incrollabili.

Grazie

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