SERVE UNA NUOVA NARRAZIONE DEL TERROMOTO

Attualmente il terremoto non è percepito dai cittadini italiani come un tema nazionale e di primario valore. Nemmeno ora, in un momento storico nel quale una doppia emergenza sta investendo il “cratere” sismico post-2016 per la seconda volta, dopo l’ondata del Coronavirus a Marzo. Com’è possibile tanta inosservanza?

Questa mancanza di attenzione per l’argomento “sisma” è in genere attribuita alla scarsa conoscenza del rischio sismico e le sue conseguenze. In realtà l’ignoranza che il popolo italiano ha del rischio sismico, (quindi anche dell’attuale situazione in Centro Italia post 2016) potrebbe essere un problema “secondario”, derivato piuttosto da un errore di comunicazione alla base.

Arquata del Tronto

Il problema primario per cui il post terremoto 2016 potrebbe non essere percepito come tema nazionale, men che meno ora è dato dal fatto che, questo, non entra mai in una narrazione realmente nazionale, nel dibattito con la popolazione.

A 4 anni dalle scosse che hanno distrutto il Centro Italia si sono evidenziati e confermati alcune modalità standard entro le quali viene generalmente trattato il terremoto in Italia. Le stesse, dopo 4 anni sembrano aver in qualche modo cristallizzato la vita del cratere e dei suoi abitanti. A parte il “filone paternalistico” (di seguito) non si esclude la bontà di queste letture del territorio, ma se ne evidenziano delle lacune. Ad esempio quella di non aprirsi mai realmente alla popolazione del resto del Paese:

  • il filone paternalistico: si parla di terremoto nelle ricorrenze, trattando le persone come vittime senza risorse. Avviene anche non solo nelle ricorrenze. I terremotati locali diventano inoltre una sorta di guida in un paesaggio che raramente cambia,
  • il filone locale: il terremoto non riguarda tutto il Paese, è trattato come un affare locale. Paura della speculazione (che comunque arriva dalle mafie interne e locali), paura del “diverso” fanno sì che i referenti per una narrazione del terremoto 2016 siano prettamente gli abitanti del posto. Se da una parte non può che essere così (deve partire dagli abitanti, la narrazione), dall’altra la loro voce non arriva però a fare del sisma un tema di interesse nazionale. Al massimo, permette di creare molte interviste, opportune a “tenere viva la memoria” o “aggiornato il dibattito”, ma a livello locale. Il punto però non è nè la memoria, nè un aggiornamento sull’andamento, che per giunta non avviene, in modo diffuso e costante, “oltre cratere”. A monte resta manomesso l’opportuno chiedere una democrazia che manca, quel diritto ad avere un futuro, negato. Infine i terremotati sono trattati come invisibili. Perchè in fondo nessuno ha realmente delle chiavi per comprendere come, “il loro disastro” sia in realtà “di tutti“. Il terremoto appartiene, anche economicamente, all’intero Paese. Eppure non è percepito come tale.
  • Il filone storico: indispensabile per comprendere cosa “è andato storto” quali sono le lezioni del passato. Il filone storico sembra però non avere alcun potere sugli attori principali e locali del sisma 2016, perchè le lezioni del passato sono state completamente ignorate. Di base le buone ricostruzioni (Friuli e terremoto del ’97) non hanno insegnato niente. Un filone storico “recente” testimonia invece lo sforzo di tutti i commissari delle ricostruzioni in essere, in Italia. I quali si sono riuniti per pensare, su esperienze personali, una Carta della Ricostruzione valida su scala nazionale. Ad ogni modo lo sguardo è sempre proiettato al post-emergenza e non alla prevenzione o alla mitigazione del rischio.

Tutto ciò non permette di superare il dolore stesso; è una patina, questo, appoggiata sulle persone e sui luoghi, che rischia di ricondurre sempre tutto il cratere al 2016, in un “eterno passato”, più che verso un futuro pianificabile. Se da una parte non può che essere così, perchè la ricostruzione è incompiuta, perchè è impossibile togliere il dolore dal terremoto (tema delicato), dall’altra questo dolore dovrebbe poter essere uno strumento, attivo, per il futuro. Lo dimostrano alcune storie locali, presenti sul territorio. Nella maggior parte delle volte però, il dolore è un vestito pesante che non permette, appunto, di far ri-emergere le persone oltre quello stesso vestito pesante.

IL SERIO PROBLEMA DELLA NARRAZIONE DI GENERE

Il terremoto resta infine un tabù sociale, seriamente discutibile nella maggior parte dei casi da soli uomini. Manca un respiro matriarcale, alla narrazione, che si ritrova solo in rari casi, casi al margine, che ad ogni modo non raggiungono, ancora, un tavolo di dibattito nazionale. Le uniche sindache su 138 comuni terremotati sono ad esempio due: nel comune di Ussita e in quello di San Severino.

Nonostante vi siano molte figure femminili attive sul territorio, il governo sembra ascoltare la loro voce entro rari “periodi finestra” che non strutturano mai un concreto tessuto di dialogo, utile costituire un dibattito nazionale del terremoto, in primis, ed anche in ottica del rispetto della parità di genere. La presenza femminile è purtroppo costretta a confrontarsi con strutture obsolete, patriarcali, esclusive.

COME DOVREBBE ESSERE IL NUOVO PARADIGMA PER UNA CONCRETA NARRAZIONE DEL TERREMOTO

Dovrebbe essere più equo, dando maggiore risalto alle voci femminili già in essere, non solo entro la narrazione del terremoto ma in un dibattito che le investa di poteri maggiori per le comunità, dal basso, senza finti modelli di partecipazione, dove raramente hanno concreti strumenti economici e decisionali, che poi possano essere diffusi fra la popolazione.

Bisognerebbe poter uscire dalla narrazione delle reti già conosciute del territorio, non per mancare loro di rispetto, ma per implementare queste reti sociali di nuovi sguardi. La “paura dello straniero”, relativamente al terremoto 2016, non ha fatto altro che impedire al tema “sisma” di entrare davvero in un dibattito, diffuso e nazionale del terremoto. Se questo per certi versi accade, attraverso i cammini, i prodotti locali che raggiungono vari punti del Paese, dall’altra accogliere nuove voci nella narrazione al cratere è la nuova sfida del cratere stesso.

Il rischio che corre il cratere è infatti quello di restare, infine, un’amara favola sempre identica a se stessa dove le cose, più che ripartire, continuamente “stanno”, nonostante piccoli ed importanti cambiamenti locali.

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