Era il 9 Marzo 2020. Tutta l’Italia diventava zona rossa da emergenza Covid. Già allora era completamente dimenticata la situazione del Centro Italia post terremoto 2016. Parliamo di 138 comuni tra Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo. Qui le persone si chiamano ancora “terremotate” ed abitano un non-luogo, chiamato “cratere”.
Mentre da marzo, lungo tutto il Paese si è più volte esclamato “io resto a casa”, qualcuno ha risposto, dal cratere terremotato «non stiamo a casa dal 24 agosto 2016». La pandemia si è appoggiata indisturbata a quello che, istituzionalmente è stato definito come “il più grande cantiere d’Europa”. È paradossale come, nel parlare della vita umana delle persone terremotate, questo cantiere scompaia, ora sotto il peso del virus, ma in generale ogni anno di più.
«Il Covid ha fatto più danni del terremoto». È una dichiarazione che rimbomba, sonora, in ogni angolo del Centro Italia. «Almeno nelle scosse potevamo abbracciarci. Questo virus ci ha ulteriormente isolati dal mondo» spiega una commerciante di Castelsantangelo sul Nera. Abita a pochi passi dal suo “negozio”, che in realtà è un container. Anche lei sta in una soluzione abitativa di emergenza. La vita impossibile nelle SAE continua, questa volta con l’aggravio della pandemia.

Già da 4 anni, infatti, le persone terremotate si ritrovano a vivere nei moduli provvisori, le soluzioni abitative di emergenza, senza futuro e senza casa. Prima i terremotati hanno trascorso anni “da invisibili”, in attesa della ricostruzione delle case, dichiarata incompiuta l’anno scorso dallo stesso Mattarella. Poi, al peso dell’abbandono delle persone -realtà che prosegue- si è sommato il Covid-19. Il virus ha raggiunto senza indugio le aree terremotate, dove le emergenze si sono stratificate.
Le zone rosse del Coronavirus si sono affiancate alle zone rosse generate dal sisma 2016. Sono aree, queste, ancora tenute in piedi dalla meticolosa messa in sicurezza dei Vigili del Fuoco. È tutta una puntellatura di edifici, come nel centro storico di Visso o a Camerino (MC); o un ammasso di macerie, come a Pretare (AP). Nelle zone rosse vi è anche il vuoto lasciato dai morti e dai crolli, come ad Amatrice. Così, insomma, con l’arrivo della pandemia non è rimasto alcuno spazio per poter esistere.

Perché vivere in una SAE, in piena pandemia, in mezzo al nulla o alle macerie, non è vita. «É una parvenza, di vita» specifica Francesco, che abita da solo nella sua “casetta” di 40 metri quadri a Norcia. Il suo villaggio SAE è nella zona commerciale. Qui gli anziani hanno sempre più paura di uscire. Temono di scivolare per i vialetti ghiacciati. Sono terrorizzati dal virus. «Ci mancava la pandemia. Non abbiamo ancora avuto un attimo di tregua. La mia preoccupazione sono gli anziani e l’isolamento che crea questo virus. La gente che già aveva paura, adesso li vedi e sembrano fantasmi.» racconta per telefono una commerciante di Amatrice (RI).
Questo è il quinto anno di niente, per le zone del cratere. Nel frattempo è arrivata anche la neve, abbondante. E le casette, come le persone, rischiano di non reggere più il peso. Ora è quello di una vita impraticabile, che mai riparte. Ora è il peso silenzioso e ingombrante della neve, che incurante delle emergenze copre le casette.
Il 29 dicembre 2020 neve e un blackout di 12 ore aveva isolato Arquata del Tronto e Montegallo (AP). Nelle aree SAE, va ricordato, non ci sono generatori di corrente. È servita l’emergenza neve dello scorso dicembre e di questo gennaio 2021, per decidere di dotare in futuro tutti villaggi di un gruppo elettrogeno.
«Noi siamo gente di montagna, siamo abituati ad andare anche a -18. Ma il punto è che le SAE non sono adatte per il clima di montagna.» Racconta B. che vive ad Amatrice. Lo scorso 6 e 7 gennaio è toccato invece alle SAE di Amatrice, restare 14 ore senza energia elettrica, senza segnale telefonico cellulare e connessione mobile. A Roccasalli, una piccola frazione di Accumoli, gli abitanti delle SAE sono dovuti salire sopra le SAE stesse, per alleggerirle dalla neve ed evitare il crollo dei tetti.
Ci sono anziani, soli da sempre, nelle SAE e le persone sono impaurite dal virus da quel Marzo 2020. Da inizio pandemia questi territori sono rimasti fuori dai Dpcm che hanno chiuso e aperto un’Italia che no, non è tutta uguale.

“Isolati dal mondo, abbandonati dallo Stato”: si legge a più riprese tra le pagine Facebook degli abitanti del cratere. E il messaggio rimbalza una, mille volte tra i profili di tanti terremotati. Come se la piattaforma fosse l’ultimo avamposto da abitare, per spezzare il silenzio, infrangere l’assenza di attenzione in cui è precipitato un territorio grande 4 regioni.
In questi 4 anni, intanto, molte famiglie hanno dovuto abbandonare la propria SAE per lavori di manutenzione ai pavimenti, andando in albergo, svuotando le piccole dimore dalle poche cose salvatesi dal sisma. Si sono logorati presto, i pavimenti, a causa di strati di muffa generati da una cattiva costruzione. Nel 2017 sono invece scoppiati i primi boiler, a Visso.
Ma ogni anno si sono alternate vere e proprie stagioni di resistenza all’oblio. «Quando in Italia è arrivato il virus io, da terremotato, ero già pronto. Mi sono detto che adesso il resto dei cittadini avrebbe capito cosa stiamo passando noi da anni. Noi, qui, sappiamo da anni come si viene trattati dopo un disastro. È semplice: ti abbandonano tutti. Il Governo per primo» mi confida Leonardo a più riprese, da una piccola casa grande quanto una stanza.
Nessuno, ai vertici del Governo, si è posto il problema di come sarebbe stato “restare a casa” avendo però una SAE. Oggi il timore che il Covid si diffonda fra le casette obbliga a parlare di un distanziamento fisico impossibile. Non ci si può mettere in quarantena, in un modulo abitativo di 60 metri quadri, con altre 2 persone. Il virus aggiunge silenzio a un isolamento che cresce. Quella che doveva essere una situazione provvisoria di alloggio è diventata una nuova normalità, dove il fenomeno dell’abbandono svuota di senso la vita umana, ne riduce il valore da anni, cancella il diritto alla sicurezza abitativa, il diritto a un futuro.
©Giulia Scandolara
“Ho preso il terremoto. Un’indagine umanitaria: la denuncia dei danni materiali e sociali in un Paese fragile” disponibile qui
